User Experience Design

5 best practice per costruire Buyer Personas che funzionano per la tua azienda.

Tempo di lettura 5 minuti

Immagina questo scenario: hai di recente scoperto cosa sono le Buyer Personas e ti sei reso conto che creare e lavorare con questi archetipi rappresentativi dei tuoi utenti è davvero molto utile per pianificare una strategia di marketing che funziona davvero.

Eppure passano i mesi e nulla sembra cambiare nella tua attività: perché?

Creare le Personas non basta a dare un impulso positivo alle attività dell’azienda, ma occorre creare delle Personas che funzionano.

Ecco alcuni accorgimenti indispensabili per costruire delle buone Buyer Personas.

Si parte sempre dalla ricerca

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La cosa più importante da capire rispetto alle Buyer Personas, è che non si possono creare senza una prima fase di ricerca. Le Personas rappresentano utenti reali, ed è proprio questa la chiave della loro efficacia.

Può capitare che per mancanza di tempo o per superficialità, in azienda si finisca per saltare a piè pari la fase di ricerca e si proceda con la creazione delle Personas. In alcuni casi, vengono completamente inventate sulla base di quelli che si suppongono essere gli utenti che potrebbero mostrare interesse verso il brand.

In altri casi, piuttosto che fare ricerca su soggetti esterni, si sceglie di fare riferimento a persone più facilmente raggiungibili come colleghi, amici o familiari. Si motiva questa decisione dicendo che alla fine anche queste persone potrebbero essere utenti del prodotto o del servizio.

È importante che questo sia chiaro: nessuna di queste persone rappresenta il tuo utente medio. Non lo sono i tuoi colleghi che lavorando nella stessa azienda hanno tutta una serie di conoscenze e competenze molto diverse rispetto alla media, come non lo sono i tuoi familiari che potrebbero dare delle risposte condizionate dalla relazione che li lega a te.

Né tantomeno puoi essere tu a poterti mettere nei panni dei tuoi utenti: il tuo lavoro, la tua conoscenza del brand ti rendono profondamente diverso da loro. Non ha rilevanza che utilizzi anche tu il tuo prodotto: continuerai a rappresentare una minoranza rispetto al tuo pubblico complessivo.

Neanche gli specialisti di Marketing o di User Experience possono permettersi di progettare facendo esclusivamente affidamento sul proprio intuito: sono loro i primi ad essere ben consapevoli che una Persona ben costruita non può che nascere dalla ricerca e dai dati – reali – raccolti attraverso di essa.

Si raccolgono dati rilevanti

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Da un certo punto di vista creare le Buyer Personas può diventare un’attività quasi divertente: se realizzati con scrupolo questi archetipi finiranno sempre di più per somigliare a delle persone vere, con le loro caratteristiche, i loro gusti e i loro timori.

Non bisogna però lasciarsi prendere la mano e arricchire il profilo di una Buyer Persona con una moltitudine di informazioni che non risulterebbero utili.

Ad esempio, sapere che il tipo di frutta preferito dalla Buyer Persona Sara sono le albicocche, non sarà molto utile, tranne forse che nel caso si tratti della Persona costruita per una catena che vende frullati, o per un servizio di vendita di prodotti dell’agricoltura a domicilio.

Indagare su questa preferenza e riportarla tra le caratteristiche della Buyer Persona costruita per un brand di abbigliamento è superfluo.

Dunque come si fa ad identificare le caratteristiche rilevanti che vale la pena inserire all’interno del profilo delle Buyer Personas?

Considerate tutte le informazioni che potranno essere d’aiuto per prendere delle decisioni.

Se una caratteristica può essere determinante per decidere come strutturare la strategia, come impostare il copy di una email o come strutturare il processo di acquisto, allora vale la pena di essere inserita. Non esiste una formula sempre valida in quest’ambito: ogni business ha le sue caratteristiche, i suoi obiettivi e il suo pubblico.

Un’osservazione aggiuntiva: alcuni dati come quelli anagrafici, lo stesso nome della Buyer Persona o la foto che la rappresenta potrebbero sembrare irrilevanti in quest’ottica. È bene tenere a mente che, a patto di non strafare, queste informazioni aiutano a ricordarsi che in fondo quelli per cui si sta progettando sono esseri umani reali, e non solo un target da colpire.

Non si possono utilizzare solo dati quantitativi

I dati quantitativi sono spesso quelli più semplici da raccogliere e anzi, spesso le aziende ne hanno già a disposizione un numero molto elevato. Basta infatti un eCommerce già avviato da qualche tempo, una pagina Facebook con un buon numero di fan o semplicemente un database contenente le informazioni sui clienti passati per ottenere un gran numero di insight.

Anche se l’intelligenza artificiale sta facendo passi da gigante e utilizzando i servizi di analytics di Google o Facebook si può avere accesso a dati molto meno banali di quelli anagrafici o di residenza, è ancora difficile ottenere informazioni riguardante ciò che spinge gli utenti ad agire, le loro motivazioni.

Questo tipo di informazioni può essere ottenuto principalmente attraverso metodi di analisi qualitativi.

Interviste, sondaggi o focus group richiedono un dispendio di tempo ed energie maggiore, ma permettono di ottenere insight molto rilevanti che possono aiutarti a capire più profondamente chi sono gli utenti che state cercando di raggiungere.

Ricorda che se pure è vero che intervistare una persona richiede tempistiche decisamente superiori a quelle necessarie a raccoglierne i dati attraverso gli Insight di Facebook, per i metodi di ricerca qualitativi non sono necessari gli stessi numeri richiesti da quelli quantitativi per raggiungere la rilevanza. Basta anche un numero all’apparenza esiguo (si parla di un numero di utenti tra i 5 e i 15) per farsi un’idea abbastanza precisa dei trend che emergeranno.

Non sempre le persone dicono quello che realmente pensano o fanno

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Se da una parte è vero che raccogliere dati qualitativi è un ottimo modo per ottenere delle informazioni sul comportamento dell’utente, sulle sue motivazioni e sui suoi timori, è vero anche che non tutti gli intervistati ti risponderanno cose vere durante un’intervista.

Questo non è necessariamente dovuto ad una malafede: la situazione dell’intervista e il ruolo dell’intervistatore possono indurre l’utente a modificare, più o meno coscientemente, le sue risposte per adattarsi a questo particolare contesto.

È anche possibile che l’utente stesso non sia consapevole di alcune sue dinamiche interne che lo spingono ad agire in un certo modo e, al momento di parlare di come si comporterebbe in una determinata situazione, non sia davvero in grado di prevedere quello che sarebbe il suo reale comportamento.

Come si può ovviare a questo inconveniente?

Esistono dei metodi di ricerca qualitativi alternativi all’intervista, che permettono di osservare direttamente il comportamento dell’utente mentre si confronta con una certa situazione. Si utilizzano strumenti come i test di usabilità oppure i workshop di Gamestorming che vengono utilizzati dagli specialisti di User Experience.

Durante uno User Test si danno dei task da completare all’utente e lo si osserva mentre li porta a compimento, prendendo nota anche dei commenti e delle difficoltà che esprime durante il processo.

Un workshop di Gamestorming invece è un brainstorming strutturato seguendo logiche di gioco, al quale partecipano diverse aree aziendali. Durante questi workshop vengono utilizzati strumenti come la Mappa dell’Empatia o la Pain/Gain Map.

Le Personas si evolvono

Un errore che si può è quello di costruire le Personas e poi lasciarle lì, immutate nel corso del tempo.

Con il passare degli anni, l’azienda cambia: cambiano gli obiettivi, cambia il mercato in cui opera, cambiano le persone che ci lavorano e cambia il pubblico a cui si rivolge.

Per questo, è opportuno rivedere ed aggiornare periodicamente le Personas, così da mantenere questo importante strumento al passo con l’evoluzione dell’azienda e del mondo circostante, e preservarne l’efficacia.  

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