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La visibilità degli annunci: 5 fattori per capire se i tuoi "ad" saranno visti

Tempo di lettura 5 minuti

La visibilità fornisce ai marketer la conoscenza di base necessaria per sapere quanto il loro messaggio pubblicitario è stato visto, fornendo delle metriche relative al numero effettivo di volte in cui un annuncio è comparso davanti a un utente.

Sembra semplice, ma ci sono un sacco di domande che fanno seguito a questa definizione:

  • qual è la dimensione che più rende visibile un annuncio?
  • in che modo la posizione nella pagina influenza la visibilità?
  • la visibilità è influenzata dalle applicazioni che bloccano gli annunci?
  • si può comunque stabilire un tasso medio di visibilità?

C’è un’infografica di Google che illustra come l’azienda sta definendo il suo standard di visibilità e i 5 fattori che la influenzano.

In poche parole, Google ci mostra i risultati di una ricerca sulla visibilità dei banner effettuata utilizzando la loro tecnologia Active View, allo scopo di aiutare editori e inserzionisti a ottenere dalla pubblicità online i migliori risultati possibili.

Partiamo dalle definizioni, anzitutto dalle “impression“. Come ci dice Google, un “Ad” è considerato visibile quando il 50% dei suoi pixel sono visti sullo schermo per almeno un secondo (definizione del Media Rating Council).

Il tasso di visibilità è la percentuale di “Ad” considerati visibili sul numero complessivo di “Ad” misurati.

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1. Lo stato della visibilità

Uno studio di comScore nel gennaio 2012 rilevava che il 31% dei banner era invisibile. Google porta questa percentuale a oltre il 56%. Un piccolo numero di “publisher”, infatti, sta distribuendo la maggior parte delle “impression” non visibili: il 56,1% di tutte le “impression” non viene vista dagli utenti, mentre la visibilità media per editore è del 50,2%.

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2. La posizione della pagina conta

Per un banner, la posizione più visibile è appena “sopra la piega” (quindi più o meno a metà pagina),  non in cima alla pagina. La cosa sembra valere sia per i banner orizzontali che per quelli verticali, sia su desktop che su mobile.

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3. Anche la dimensione conta

I banner più visibili sono quelli verticali. La cosa non è sorprendente, dal momento che – a differenza di quelli orizzontali – i banner verticali occupano lo schermo più a lungo, e non spariscono subito se l’utente scrolla verso il basso.

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4. Non sempre “above the fold” è uguale a maggior visibilità

Il 68% dei banner “sopra la piega” è mediamente visibile, ma non è assolutamente da disprezzare la percentuale degli annunci below the fold, che arriva al 40%.

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5. La visibilità varia in funzione delle tipologie di contenuti

A seconda della tipologia dei contenuti, la visibilità è diversa. Vi è però una regola: i siti che pubblicano contenuti che catturano l’attenzione dell’utente, e che generano engagement, ottengono anche una maggior attenzione verso gli annunci pubblicitari.

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Che fare?

Se la visibilità media per editore è di poco superiore al 50%, è sempre più attuale la famosa battuta di John Wanamaker:

Metà del denaro che spendo in pubblicità è sprecato; il guaio è che non so quale metà sia.

Forse conviene allora guardare le cose da una prospettiva diversa, come ci suggerisce Google stesso tramite Neal Mohane, e andare oltre il mero concetto di visibilità.

Bisogna partire dai seguenti dati:

  • gli “Ad” che sono risultati visibili hanno visto crescere i tassi di conversione di circa il 50% e hanno fatto crescere il brand del 10,3%, mentre quelli non visibili non hanno dato alcun contributo alla crescita.

Come dice Mohane, preoccuparsi dei tassi di visibilità è un po’ come mettersi a discutere per decidere se nella ricetta di un dolce servano due uova o ne basti uno solo e non accorgersi che nel frattempo il forno sta andando a fuoco.

Vi sarebbero dunque 3 passi da compiere:

  1. concentrarsi sul conteggio delle “impression” visibili (e non preoccuparsi dei tassi di visibilità);
  2. adottare un unico standard per la visibilità;
  3. risolvere le discrepanze nella misurazione.

1.Concentrarsi sul conteggio delle “impression” visibili

I marketer non dicono di volere che una certa percentuale della loro campagna sia visibile: vogliono pagare solo per le “impression” visibili. In questa richiesta, i tassi di visibilità non contano, ma conta il numero effettivo delle “impression” visibili. Le aziende dovrebbero aspirare al 100% della visibilità e punto. Questo significa acquistare e vendere solo le “impression” visibili. E’ una sfida decisamente significativa, qualcosa che Google afferma di voler raccogliere sui media di sua proprietà.

2.Adottare un unico standard per la visibilità

Anche l’adozione di uno standard unico è una grossa criticità. In sua assenza, sarà impossibile stabilire il valore reale di un'”impression” vista; creare una scala; ottimizzare; misurare; prevedere in modo efficace. La proposta di Google (il suo invito) è che sia accolta e utilizzata la definizione standard di visibilità concordata da Google con il Media Rating Council (MCR). Ci saranno tantissime altre opportunità anche per Google di fare aggiustamenti e aggiornamenti man mano che la comprensione della visibilità evolve, ma nel frattempo uno standard condiviso è necessario. Anche perché, se lo si adotta, può diventare una srta di moneta corrente, cioé assumere un effettivo valore economico. Diversamente si perde una grande opportunità.

3. Risolvere le discrepanze nella misurazione

Non sono più accettabili discrepanze e bassi tassi di misurabilità, ma oggi vi sono ancora quando editori e inserzionisti mettono a confronto i venditori di visibilità. Per mettere fine a queste discrepanze, non solo si deve adottare uno standard comune ma bisogna anche garantire un processo e un metodo di misurazione condivisi. Un litro d’acqua è sempre essere un litro d’acqua, indipendentemente da chi lo misura. Altrettanto dovrebbe essere per le “impression” visibili.

Per arrivarci, bisogna integrare la tecnologia di misurazione, in modo che i dati della visibilità appaiano chiaramente a fianco di altre metriche della campagna di marketing, accuratamente accettate da acquirenti e venditori.

Conclusioni

Come tecnologia, la visibilità sta ancora muovendo i primi passi e vi sono molte opportunità per trovare una soluzione condivisa. Ad esempio, la visibilità su mobile sarà cruciale man mano che aumenta il tempo trascorso dai consumatori sugli smartphone. Metriche secondarie di engagement come il viewable time e la audibility possono iniziare ad offrire un’immagine ancora più completa dell’efficacia di un “ad”. Ma, come sostiene Google, non ci si arriverà mai se si continua a discutere sullo standard stesso.

By Federica Trevisanello

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