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Eventi aziendali, come trasformarli in preziose occasioni di marketing

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Quando si parla alle aziende di (web)marketing e si spiega che la produzione e la distribuzione di contenuti è oggi cruciale per la “sopravvivenza” in rete, la prima obiezione che si riceve è la stessa che molti bambini avanzano quando si richiede loro di scrivere “un pensierino”: “maestra, io non so che cosa scrivere…”.

Sentiamo dire: “I canali sociali, il blog aziendale, la newsletter… Belli, ma cosa ci scriviamo? Dove l’andiamo a prendere una notizia al giorno, per popolare gli asset comunicativi in rete?”

Content is King, è vero, ma è soprattutto vero che business is business e se un’azienda investe tempo nella creazione di contenuti, chi manda avanti gli affari?

La cosa più incredibile è che quest’impostazione non è tipica solamente delle piccole aziende, dove il titolare è “il tuttofare” e i pochi eventuali dipendenti e collaboratori hanno tutta la giornata occupata a “fare” e a mandare avanti la baracca. Sono soprattutto le grandi aziende a sorprendere per scarsa lungimiranza e per la loro difficoltà nel creare contenuti, nel comprendere quanto oggi sia fondamentale raccontare la propria realtà e il proprio prodotto, farlo vivere nell’immaginario del consumatore, nei suoi desideri, prima ancora che tra le sue mani.

Ecco perché ci stupiamo quando le aziende, soprattutto quelle molto strutturate, faticano ad afferrare l’incredibile opportunità offerta dai loro piccoli e grandi eventi, dalle manifestazioni cui prendono parte, dalle fiere, da qualsiasi occasione di relazione, d’incontro e di visibilità.

Sembrano immobili, vivono la loro realtà a “comparti stagni”, non riescono a considerare l’evento che hanno organizzato o cui stanno partecipando come la migliore occasione per creare contenuti e per raccogliere materiale con cui far vivere i propri canali sociali per giorni, prima e dopo l’evento, coinvolgendo chi vi ha partecipato e chi non c’era.

Molto spesso è la paura a creare questa impasse, questa incapacità di vivere un evento su più livelli, sfruttando al meglio. Anzi, le paure: tante, stratificate, difficili da sradicare, perché intrecciate tra i vari livelli aziendali, tra le gerarchie, i reparti, le divisioni, le mansioni e i ruoli, che già faticano a destreggiarsi nella quotidianità lavorativa. Figuriamoci quando si parla di eventi.

Cos’è cambiato e perché occorre adeguarsi

La nuova azienda, quella che può davvero vincere la sfida della globalizzazione e della rivoluzione digitale, non può e non deve vacillare di fronte alle opportunità e alle difficoltà offerte dai nuovi mezzi di comunicazione e dal nuovo panorama della rete.

Fino al web 2.0 esistevano pochi e molto netti “livelli”: l’azienda, i media, i clienti, i fornitori, il pubblico. L’evento rappresentava, quasi sempre, il momento d’incontro tra i primi 2 o 3 livelli, con il quarto a fare da “terzo incomodo” da rimpallare al dopo fiera. I clienti, invece, erano per lo più semplici spettatori, da imbonire con “offerte speciali irripetibili” e da incantare con qualche bella hostess. Era tutto lineare, semplice, quasi banale.

L’evento aziendale era un’opportunità di vetrina e di business, con un po’ di comunicazione a fare da contorno. Qualcosa di simile al vecchio e caro calcio dei tempi d’oro, in cui il piatto ricco non era legato ai diritti televisivi, ma allo stadio e al prestigio che dava una squadra di serie A.

Oggi, in un tempo in cui di vano prestigio e di piccoli incassi si muore, le logiche sono completamente stravolte e i nuovi media aprono nuovi scenari. I livelli si sono moltiplicati, il cliente non è più uno spettatore passivo, ma parte attiva e fondamentale, in grado d’interagire con l’azienda e di “tirare” le fila di un business sempre più complesso e articolato.

Oggi l’evento non è più solamente una passerella di qualche ora o di qualche giorno, ma una vera occasione di marketing e di comunicazione, prima ancora che di business. È qualcosa che può vivere di vita propria e che può offrire molte occasioni. Il marketing non vive più di sole promesse. La pubblicità non basta più, soprattutto, non è più “l’anima del commercio” (lo è mai stata?), ma un esercizio di creatività e di stile a corredo e a supporto del business, che sempre più è fatto di relazioni e di identità.

La necessità di creare un brand, tipica di una fase ormai superata dell’evoluzione del marketing, è oggi pienamente superata da quella di creare un movimento, di generare appartenenza, empatia, coinvolgimento. È questo che si persegue sui canali sociali e che gli anglofoni definiscono engagement.

Nell’era delle religion war tra i colossi dell’industria internazionale, in cui sposare un brand è una scelta di campo profonda, che supera lo status symbol e sconfina nel feticismo, creare una community è una necessità assoluta.

Perché in una “guerra di religione” occorre schierare un esercito e reclutare ottimi ufficiali, in grado di guidarlo verso la vittoria. L’evento diventa quindi una sorta di chiamata alle armi cui nessun livello deve sottrarsi e dove “esserci” diventa un must per tutti, qualcosa da desiderare e da “esibire”.

Ma cosa intendiamo quando ci riferiamo ad un evento? In un’epoca in cui l’approccio sartoriale domina in tutti i settori e in tutti gli ambiti, dare una risposta univoca è semplicemente impossibile. Ciascuna realtà fa storia a sé e non sono le dimensioni o la tipologia a fare la differenza, ma la capacità di creare un “format” adeguato alle specifiche necessità e in grado di generare aspettativa e interesse.

In un certo senso tutto può essere un evento. Soprattutto, non è affatto scontato che un evento “reale” sia più ambito o più efficace di un evento virtuale, realizzato online senza grandi budget. Se qualcosa è cambiato, negli ultimi anni, è proprio questo: la differenza non la fanno gli investimenti, ma l’idea; la capacità di attrarre e di saper cogliere le vere esigenze del pubblico, che sempre più cerca occasioni di visibilità, opportunità di respirare un po’ della stessa aria dei propri idoli e dei propri beniamini.

L’urgenza di esserci. Tra avere e essere, l’umanità sembra aver scelto l’ibrido e illusorio “esserci”, alimentando un presenzialismo che ad oggi rappresenta una vera e propria leva di marketing, come evidenzia l’abbondanza imbarazzante di reality e di talent show in TV.

La rivoluzione determinata dal web 2.0 ha creato un gran quantitativo di figure e di livelli intermedi, tra le aziende e i consumatori, che si esprimono in rete attraverso blog, social media, forum, siti e piattaforme di ogni genere.

I vecchi testimonial hanno ceduto negli anni il passo a:

  • VIP (e assimilabili)
  • influencer
  • engager
  • ambassador
  • early adopter
  • trend setter
  • sneezer
  • coolhunter
  • recommender
  • persuader

Sono tante le definizioni che vengono attribuite agli elementi della catena della comunicazione 2.0 delle aziende, ma dietro le terminologie amene e spesso caotiche si nasconde una grande realtà.

Fare marketing ai tempi del web, ormai approdato alla sua “versione” 3.0, è un esercizio di scouting, di relazioni e di interazioni, prima ancora che di qualsiasi altra cosa. Perché tra la nostra audience e il nostro target si frappongono decine di ruoli e di livelli, in grado di amplificare, di esaltare o addirittura di distorcere del tutto il nostro messaggio.

“I mercati sono conversazioni”, decretava alla fine del XX secolo il “Cluetrain Manifesto”, preconizzando quello che a breve sarebbe stato il cambiamento epocale cui il marketing avrebbe dovuto adeguarsi. Conversazioni, quindi relazioni, quindi contenuti da sviluppare e da curare, per alimentare l’interazione e il coinvolgimento.

Ebbene, gli eventi stessi sono oggi contenuti e contenitori, conversazioni e relazioni, media essi stessi e in grado di generare quel circolo virtuoso d’interazioni che online è sempre difficile ottenere senza il coinvolgimento diretto degli utenti e degli “attori della rete”.

Organizzare un evento: cosa e perché

Cosa intendiamo dunque per evento? Quali possono essere per le aziende le occasioni di progettarne e organizzarne uno?

Come abbiamo già sottolineato, non contano le dimensioni. Se parliamo di eventi possiamo spaziare tra:

  • semplici meeting (online o offline, incontri, conference call, riunioni);
  • convention e congressi;
  • lanci di nuovi prodotti o servizi;
  • presentazione di un brand;
  • sponsorizzazioni e partnership;
  • inaugurazioni;
  • manifestazioni, fiere ed eventi di settore;
  • conferenze stampa.

Gli eventi devono essere coerenti con la mission dell’azienda, con i suoi obiettivi, con i suoi valori, con la sua filosofia e con le sue politiche. Grandi o piccoli che siano, essi sono la fotografia e lo “stato dell’opera”, rappresentano profondamente l’azienda e devono parlare la sua lingua.

Non c’è limite alla possibilità d’immaginare e di organizzare un evento, ma è di fondamentale importanza che siano sempre chiari l’obiettivo, il contesto e il target di riferimento. Molte aziende, infatti, sono ancora troppo legate a schemi rigidi e superati, che le spingono a perseguire modelli vecchi e datati.

La conferenza stampa, ad esempio, è ormai superata dalle opportunità offerte dai nuovi media e, soprattutto, è adatta solo a un target convenzionale, ovvero agli operatori dei media tradizionali.  Invitare blogger e “influencer” della rete a questo genere di eventi significa ignorare la differenza abissale tra un giornalista e un blogger.

Più in generale, oggi gli eventi hanno l’urgenza di trovare nuovi formati, che diano maggior risalto agli aspetti esperienziali ed emozionali, anziché alla mera autoreferenzialità e ad impostazioni di carattere istituzionale.

Per mettere in piedi un evento di successo, dunque, occorre tararlo in modo univoco sul target cui esso è riferito, perché non basta più pensare a un solo contesto e pretendere di tirarci dentro tutti i livelli. Come nel caso del Content Marketing ciascun contenuto prodotto deve essere chirurgicamente mirato a un determinato target di utenti, allo stesso modo ogni evento che progettiamo deve rispondere alle precise esigenze del pubblico che di volta in volta andiamo a intercettare.

Non è indispensabile che si creino appositamente degli eventi diversi. Nello stesso contesto, ad esempio una fiera, possono convivere momenti dedicati alla stampa tradizionale e attività con i blogger. Si possono ideare attività destinate al pubblico (prove prodotto, corsi e lezioni, giochi) e altre riservate a categorie più ristrette di “influencer” o “trend setter”, che diano loro visibilità e che permettano di sentirsi parte della vita aziendale e delle sue iniziative.

Se ci riferiamo ai blogger, inoltre, è opportuno considerare che essi non appartengono ad una sola indistinta categoria, come sinora sono stati ritenuti i giornalisti.  Ciascun blogger ha un suo ambito di competenza specifico, dal food al fashion, dal lifestyle al beauty, al travel o ancora alla genitorialità (le mamme blogger sono in costante crescita).

Per questo genere di utenti, che con i loro articoli sono in  grado di creare un grande seguito, oltre che una mole interessante d’interazioni e di preziose opinioni, occorre studiare eventi che si possano raccontare in modo accattivante, non le noiose e autoreferenziali conferenze stampa!

Se da un blogger si vogliono ottenere risultati concreti, occorre “farlo giocare” con i prodotti, farlo divertire, fargli fare delle esperienze che lui possa girare al suo pubblico in diretta, senza troppi filtri o paletti. Se la vostra azienda costruisce automobili, ad esempio, portare diverse categorie di blogger in pista, far vivere una nuova vettura secondo la loro ispirazione e le loro necessità può essere una scelta vincente. Così come potrebbe esserlo un ribaltamento dei ruoli, dove è il blogger ad essere intervistato dall’azienda. Questo vale anche per altri livelli e per altre categorie di utenti.

L’unico vero comandamento è: mettere gli utenti al centro, renderli protagonisti, mettergli il microfono in mano e dargli una telecamera per mostrare ai propri contatti il loro punto di vista sul brand e sul prodotto, piuttosto che quello dell’azienda.

Per colmare il divario tra l’azienda e l’utente, causato da decenni di pubblicità convenzionale, occorre rimettersi in discussione e accettare l’idea che gli occhi che contano davvero non sono quelli dei registi o dei cameraman pubblicitari, avvezzi all’esaltazione del prodotto e alla sua trasfigurazione, ma piuttosto quelli dei clienti già acquisiti o di quelli potenziali, ancora da convincere.

Un buon evento rappresenta una leva di marketing potentissima, in grado di cancellare anni di egocentrismo smisurato e di pubblicità troppo generosa.

Occorre solo comprendere che, qualsiasi sia il nostro evento, il protagonista dev’essere il pubblico e il suo divertimento dev’essere centrale rispetto a qualsiasi altra priorità.

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