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Digital marketing e Internet Of Things (IoT): c'è chi dice no

Tempo di lettura 4 minuti

L’entusiasmo per l’Internet of Things non è propriamente un’emozione unanime. Qualche perplessità e qualche domanda, infatti, la pone Doug Conely, Chief Strategy Officer e UK Managing Director di Exponential

La convinzione che il mondo si stia muovendo verso l’IoT non è mai stata così forte, tuttavia dobbiamo andarci cauti.
Mentre l’uso di Internet mobile va rafforzandosi, i marchi farebbero bene ad avvicinarsi con cautela alla pubblicità attraverso dispositivi non collegati a smartphone, siano essi il frigo che vi presenta la lista della spesa, la macchina che si è impegnati a guidare, o addirittura, il tostapane che canta per voi.

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Ci sono 4 ragioni chiave per cui i brand dovrebbero essere cauti nell’appoggiarsi alla IoT per la loro pubblicità.

1. Probabilmente l’IoT ha applicazioni limitate per la pubblicità diretta.

Ci sono molte società di tecnologia pubblicitaria e agenzie di acquisto di media digitali che sperano disperatamente che l’IoT sia un’opportunità per fare pubblicità su larga scala (e che sperano che Facebook e Google non finiscano per dominare anche questa…).
Il grafico qui sotto (tratto da una ricerca sul futuro dei dispositivi indossabili, lanciata da Mindshare al Mobile Engage) fornisce un’utile cornice per pensare a questo. Da notare le due opzioni attuabili in cui la pubblicità è posta su un device connesso: push notifications paid search.

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Ecco l’analisi di Conely:

Le push notifications promettono mari e monti, ma in termini di inserzionista non si tratta che di un eufemismo per dire “mandiamo qualche coupon”?.
Rischiamo di disimparare le lezioni di qualche anno fa su quanto i coupon attraggano i cacciatori di affari più di quanto attraggano clienti da consolidare? Quanto saranno ricettivi gli utenti rispetto a offerte indirizzate sui loro dispositivi più personali?

La paid search su dispositivi IoT, nel frattempo, sta diventando sfidante a motivo della sua interfaccia. È molto più probabile che tu inserisca il termine di ricerca a voce, anziché digitandolo; questo probabilmente la porterà a rispondere solo a dei bisogni immediati (p.e. il tempo, il trasporto, il food & drink).

Inoltre, c’è spazio solo per un risultato. Tutto piuttosto limitato.

2. L’IoT si presta bene a opt-in utility o allo svago, non alla pubblicità di massa (pushed advertising)

Marc Mathieu (Unilever’s Global SVP of Marketing) lo spiega bene:

Abbiamo bisogno di pensare a come costruiamo utilità per le persone – la audience non ascolta più “ho qualcosa di importante da dirti” – abbiamo bisogno di fornire valore. I brand hanno bisogno di mettere sul piatto dei loro consumatori qualcosa di utile e di divertente.

Urban Airship suggerisce un approccio “un-advertising” che presuppone che i brand forniscano utilità anziché interrompere, e che identifichino “i momenti che contano”, non il reach o la frequenza.
Interessante lo schema della loro proposta che si può vedere qui sotto:

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3. C’è pericolo nei dati

In questo momento tutto è insolitamente tranquillo sul fronte del dibattito riguardante la privacy. Senza dubbio l’industria navigherà sempre più di bolina in fatto di privacy man mano che la IoT diverrà sempre più abituale, quasi un luogo comune.

Chissà se qualcuno ricorda la baraonda scoppiata nel 2011 quando l’attività sessuale, incluse durata e intensità, di 200 proprietari dei sensori Fitbit furono mostrati nei risultati di Google Search…

Inoltre, il valore di scambio per i dati utente all’interno dell’IoT deve essere trasparente e rilevante, ma lo psicologo Dr Simon Hampton ha messo in evidenza un elemento più sottile e furbesco che è connesso ai dati dell’IoT. Per esempio, il nostro frigo potrebbe usare i dati per dire cose su noi stessi che non ci piacciono.

La gente è estremamente attenta alle foto che condivide sui social feed riguardo al cibo che mangia o alla sua attività sportiva; quindi, cosa succede quando il frigo smart dice cosa davvero ha mangiato e quando i loro dispositivi indossabili dicono quanti passi hanno davvero compiuto?

4. Il futuro sarà probabilmente più mobile che statico.

Su un semplice piano pratico e a livello di ultima riga del bilancio (profitti), i pubblicitari si sentono più a loro agio quando focalizzano attenzione e risorse sul mobile, dato che è in misura crescente la piattaforma privilegiata ed è appunto più… mobile.
Tralasciando i wearables o i sensori per le auto intelligenti, l’IoT tende ad essere una piattaforma più statica, così non fornisce lo stesso grado di opportunità o di applicazioni in confronto a un device che letteralmente va con la gente ovunque.

In aggiunta, il futuro della pubblicità dell’IoT, nel medio e nel lungo termine, è ancora incerto, mentre l’industria è migliorata molto nel minacciare le opportunità di pubblicità su mobile.
Quest’ultimo avrà una dimensione in più quando la questione del cellulare come strumento di pagamento sarà risolta.

Il senso comune di questi ultimi anni è che i customer journey in modo crescente iniziano su smartphone ma, a causa di un’esperienza d’acquisto faticosa, terminano su desktop (di qui la corsa a sviluppare proposte cross device). Questo sembra incoraggiante – in particolare se la crescita esponenziale del commercio mobile in Sud Corea, uno dei mercati mobile più sviluppati, si dispiega nel resto del mondo.

Quando (non se) gli smartphone saranno diffusamente adottati come carte di pagamento contactless, allora cambierà tutto.

Un futuro connesso senza dubbio ha un enorme potenziale per i fornitori di tecnologia e per i brand.

Ma per i brand è l’opportunità di costruire utilità sociale nei cuori e nelle menti delle audience – anziché un approccio arcaico alla tradizionale pubblicità push – che deve davvero essere esplorata, se la IoT dev’essere sfruttata nel suo pieno potenziale.

Il post originale di Doug Conely si può leggere sul blog di Econsultancy.

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