Conversion Optimization

Come analizzare i dati del tuo eCommerce

Tempo di lettura 8 minuti

“Non si dovrebbe dare da mangiare a chi non ha più fame” cantano i Marta sui Tubi in “Camerieri”. Nell’eCommerce è un po’ la stessa cosa: inutile concentrare i propri sforzi su chi non comprerà mai, meglio allocare le proprie energie, anche economiche, sugli utenti che potrebbero, se correttamente stimolati, acquistare da noi.

Ho sempre pensato che gli utenti di un sito si dividessero in 3 categorie:

  1. Chi non comprerà mai sul tuo eCommerce: potrebbe essere un problema di fiducia, di prezzi troppo alti, difficoltà nell’acquisto o semplicemente perché “non trovano” il tuo eCommerce.
  2. Chi comprerà sempre e sicuramente sul tuo eCommerce: probabilmente  è merito della fiducia che hai saputo creare attorno alla tua marca.
  3. Chi potrebbe comprare da te, ma potrebbe acquistare anche da uno qualsiasi dei tuoi concorrenti.

Dato un obiettivo generico di “vendere di più”, dobbiamo necessariamente riformularlo in due risultati chiave:

  1. Aumentare la percentuale di clienti fidelizzati che sicuramente compreranno da te e/o aumentare la loro frequenza di acquisto e/o aumentare il valore medio dei loro ordini con l’obiettivo di aumentare il loro LTV (lifetime value).
  2. Aumentare la percentuale di utenti che compreranno da te rispetto al totale degli utenti “indecisi”.

Questa considerazione ci dà un’indicazione importante (e spesso sottovalutata), cioè che non esiste un solo tasso di conversione ma più tassi di conversione, ognuno in relazione con uno specifico segmento di utenti.

Questo concetto non può che rimandare allo scivolo delle conversioni (fig.1)  e, nello specifico, a uno dei suoi pilastri: la rilevanza. Rilevanza che va intesa non solo come rilevanza rispetto al messaggio che ha portato l’utente a cliccare sull’annuncio ma soprattutto rilevanza rispetto alle motivazioni dell’utente.

Scivolo-conversioni-fig1

Fig. 1 Scivolo delle conversioni

Secondo il modello dello scivolo, la conversione dipende da:

  • Motivazione iniziale: quanto è forte il bisogno di un particolare prodotto.
  • Chiarezza e rilevanza: quanto il sito è rilevante rispetto alla motivazione dell’utente e con quanta chiarezza viene espressa la value proposition.
  • Value proposition:  con quanta chiarezza si esprime perché comprare sull’eCommerce e non dai concorrenti. La forza della value proposition dipende dalla rilevanza e dall’importanza del prodotto/servizio per il particolare segmento di utenti, dalla credibilità e dalla chiarezza con cui viene espressa.
  • Persuasività: con quanta forza si riesce a “spingere gentilmente” l’utente verso la conversione.
  • Attriti e distrazioni: elementi che rallentano o addirittura impediscono il raggiungimento dell’obiettivo, tutti gli elementi che generano “F.U.D” (fear, uncertain, doubt) che dipendono anche dalla credibilità di cui godo sugli utenti e dal grado di fiducia che chiedo loro.

L’elemento più forte e che dà il via a tutto il processo è la motivazione, concetto che può essere reso operativo negli strumenti di web analysis come “l’intento della visita”.

Non useremo più gli strumenti di web analysis solo per trovare i problemi di conversione a livello tecnico in un particolare dispositivo, in uno specifico browser o a una certa “dimensione del browser”, ma lo faremo a partire dagli intenti, cioè dalla motivazione.

Nota bene: non ti sto dicendo che l’analisi tecnica non sia necessaria, ti sto dicendo che è solo una facciata della medaglia.

Guarda per esempio la fig.2, Conversioni per dimensioni del browser, che fa riferimento agli ultimi 30 giorni di un eCommerce “Desktop”. Alcune dimensioni del browser sono decisamente sotto-performanti, ma risulta difficile capire qual è la caratteristica comune di queste tre dimensioni che le differenzia dalle altre. Eppure queste dimensioni, oltre ad avere un CR (tasso di conversione) più basso, si caratterizzano anche per un minor valore dell’ordine, una maggior frequenza di rimbalzo e un minor numero di visualizzazioni di pagina per sessione.

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Fig.2 Conversioni per dimensione del browser

Risolvere il problema delle 3 dimensioni del browser ci aiuterebbe a ottimizzare le conversioni e soprattutto le revenue: il tasso di conversione medio delle tre dimensioni del browser è 0,80%, inferiore del 60% rispetto alla media del sito.

Ora immagina di portare il CR di 0,80% al valore medio del sito di 1,67% e, supponendo di mantenere un valore medio come quello del sito, avremmo avuto entrate incrementali per quasi 4.500€.

Il problema però rimane: perché utenti che navigano con queste dimensioni del browser convertono meno degli altri? Per avere la risposta dobbiamo tornare a quanto accennavo prima. Dobbiamo capire perché quegli utenti erano entrati nel sito. Quello che è da mappare è proprio l’intento della visita.

Una descrizione molto sommaria potrebbe essere questa:

  • Utenti che sono entrati nel sito “per sbaglio”.
  • Utenti che sono entrati nel sito ma hanno poco interesse per i prodotti.
  • Utenti che sono entrati nel sito ma hanno un interesse solo moderato.
  • Utenti che sono entrati nel sito e hanno un alto interesse verso i prodotti.
  • Utenti pronti alla conversione ma che non hanno finalizzato l’acquisto.
  • Utenti che hanno portato a termine la conversione.

 

Utenti che sono entrati nel sito per sbaglio

Questi utenti non manifestano alcun interesse per i prodotti del sito. Di fatto sono gli utenti che “rimbalzano”. La prima cosa da verificare è analizzare dove atterrano questi utenti. (Fig.3)

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Fig.3 Confronto sessioni con rimbalzo e tutte le sessioni

Le schede prodotto sembrano essere le pagine più critiche: l’80% delle sessioni che atterra in una scheda prodotto rimbalza. La spiegazione plausibile è che questo segmento di utenti sia entrato nel sito solo per informarsi su un particolare prodotto senza l’intenzione di un acquisto immediato. Quello che avremmo dovuto fare è dare all’utente un motivo per continuare la visita e spingerlo gentilmente verso l’acquisto, sfruttando per esempio i principi di urgenza e scarsità.

Potremmo spingerci oltre e verificare quali sono le specifiche schede di prodotto che soffrono di più della sindrome dell’abbandono e verificare qual è il canale che ha portato gli utenti ad accedere.

Nel caso in esame scopriremmo che la maggior parte dei rimbalzi avvengono da motori di ricerca (organici e a pagamento). Ecco che abbiamo il primo suggerimento sui prossimi passi: analizzare le parole chiave per pagina di destinazione verificando la loro pertinenza e l’intento di ricerca che esprimono.

 

Utenti che hanno poco interesse per il sito

Per poter acquistare è necessario vedere almeno una scheda prodotto, corretto? Potremmo identificare gli utenti con poco interesse come tutti gli utenti che nella loro navigazione non vedono alcuna scheda prodotto. (Fig.4) Confronto sessioni con visualizzazione scheda prodotto vs. sessioni senza visualizzazioni scheda prodotto

Come vedi, le sessioni che comprendono la visualizzazione di una scheda prodotto hanno un miglior tasso di conversione rispetto a chi non visualizza schede prodotto. Va precisato che, data la natura di questo eCommerce e dei prodotti che propone, non è strano che un utente aggiunga prodotti al carrello direttamente dal listato.

Il nostro obiettivo diventa capire quali sono i motivi che portano gli utenti a non approfondire la navigazione e fermarsi solo a un livello superficiale.

Potremmo per esempio analizzare quali sono le pagine di destinazione a maggior frequenza di rimbalzo. Tecnicamente un rimbalzo è una sessione che invia una sola richiesta ai server di Analytics, cioè una in cui l’utente, una volta entrato sul sito, non compie azioni di alcun tipo. Da una prospettiva “di marketing”, la frequenza di rimbalzo è inversamente proporzionale a quanto la pagina di destinazione incontra le aspettative dell’utente e a quanto riesce ad esprimere una value proposition chiara, rilevante e credibile per l’utente.

Oppure, potrebbero esserci problemi a livello di navigazione: un’architettura delle informazioni poco chiara e intuitiva potrebbe portare gli utenti a girovagare per il sito senza capire cosa fare. Quello che dovremmo fare è verificare la percentuale di utenti che passano dalla visualizzazione di una pagina di listato alla visualizzazione di una scheda prodotto. Una bassa percentuale potrebbe essere sintomo di problemi nella comprensione dell’architettura delle informazioni e/o difficoltà da parte degli utenti di utilizzare le funzioni di filtro e ordinamento. Una situazione di allarme si verifica in particolare per gli utenti che utilizzano il motore di ricerca interna ma che non arrivano a visualizzare la scheda prodotto (gli “utilizzatori del motore di ricerca interno al sito, in genere, benché numericamente inferiori, hanno un tasso di conversione di 3-4 volte superiore rispetto a chi non lo utilizza). In Fig.5 (Visite con Ricerca vs. visite senza ricerca) un esempio delle performance di questi due segmenti.

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fig. 5 Visite con ricerca vs. visite senza ricerca

Visitatori con un interesse moderato o alto

I visitatori con interesse moderato sono i visitatori che non rimbalzano, navigano nel sito, ne consumano i contenuti, aggiungono un prodotto a carrello ma non vedono la pagina del riepilogo carrello.

Quale può essere la causa? Si potrebbe trattare di utenti che usano il carrello come una wishlist e che non proseguono perché il sito non presenta elementi persuasivi che li spingano a completare l’acquisto… ma potrebbero essere semplicemente utenti che si preparano la lista della spesa per poter acquistare in un negozio fisico.

I visitatori con un interesse alto hanno un comportamento simile ma a differenza del segmento precedente vedono la pagina carrello, ma non iniziano il processo di checkout. La causa potrebbe essere una mancanza di segni di trust nel carrello, costi di spedizione imprevisti, tempi di spedizione troppo lunghi, o semplicemente la ricerca di un coupon. Un’analisi da approfondire per questo segmento di utenti è il valore del carrello medio e il tipo di prodotti a carrello: se si trattasse di prodotti simili, la causa dell’abbandono potrebbe essere semplicemente uno “shopping comparativo”.

Diventa determinante avere gli indirizzi email di questi utenti perché potremmo inviare loro delle email altamente profilate e con un incentivo a completare l’acquisto (online o in store).

Utenti pronti alla conversione ma che non finalizzano l’acquisto

Si tratta di un segmento di utenti in una fase molto avanzata del processo d’acquisto: navigano, vedono i prodotti, li aggiungono a carrello e iniziano il processo di checkout, sono pronti ad arrivare all’obiettivo ma qualcosa li blocca. L’obiettivo è scoprire qual è l’ostacolo. In questa fase ci possono venire in aiuto:

  • feedback polls: sono intrusivi, pertanto devono essere pubblicati solo quando l’utente sta per abbandonare la pagina. L’obiettivo è scoprire quali sono gli ostacoli e le barriere percepite che impediscono all’utente di proseguire con l’acquisto (Figg. 6 e 7).
  • test di usabilità con utenti reali: si osservano gli utenti mentre cercano di portare a termine un task prendendo nota di comportamenti verbali e non verbali.
  • Session replay: si osservano i movimenti del mouse degli utenti che abbandonano il check out.
  • Form analysis: si analizza il comportamento degli utenti nel check out andando alla ricerca degli elementi che generano attrito (campi che hanno un tempo di compilazione più lungo, che vengono ricompilati o che vengono lasciati in bianco) (Fig. 8).
  • Interviste con utenti per scoprire quali sono gli elementi di frizione.

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Fig. 6 Esempio di feedback polls

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Fig. 7 Esempio di analisi di feedback polls

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Fig.8 Esempio form analysis

In conclusione

Abbiamo visto come in un processo di ottimizzazione, la variabile più rilevante siano gli utenti e i loro intenti di ricerca/navigazione, di conseguenza, ottimizzare un ecommerce per le conversioni  significa ottimizzare l’ecommerce per gli utenti.

Trovo calzante, a questo proposito una citazione di Neil Rackham.

“Troppe strategie di vendita sembrano dimenticare gli individui. Si concentrano sui prodotti o sulle forze di vendita. Se lo scopo di una strategia di vendita è influenzare il cliente, sembra logico che una buona strategia incominci con la completa comprensione del processo decisionale, dal punto di vista del cliente.”

Inquadrare la conversione nel contesto del processo decisionale dell’utente (fig.9 Processo decisionale utente) ci aiuta a capirne i meccanismi e di conseguenza, capire come influenzarli per arrivare a modificare il comportamento

In quest’ottica, il nostro eCommerce non avrà sempre lo stesso obiettivo, ma l’obiettivo dovrà essere riformulato in base alla fase del processo decisionale dell’utente.

 

Rossella Cenini – Head of Conversion Marketing

Rebranding: guida all’uso.
Scopri come creare una identità di marca forte e chiara per la tua azienda.
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